Kawara soba è un piatto dalle antiche radici, insidiate durante la guerra di Seinan nel 1877.
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Il sakè è una bevanda alcolica tipicamente giapponese ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge riso, acqua e spore koji. Per quanto venga spesso chiamato vino di riso, il processo di produzione è più simile a quello della birra che a quello del vino, e si tratta a tutti gli effetti di una bevanda alcolica ottenuta per fermentazione.
Il processo di produzione del sakè dura circa due mesi. Dopo la produzione, il sakè matura da sei mesi a un anno prima che i produttori spediscano il prodotto finale sul mercato. Ogni fase del processo di birrificazione è gestita con cura e influisce sulle caratteristiche del sakè.
Come per fare qualsiasi grande bevanda, fare un ottimo sakè inizia con il rifornimento degli ingredienti migliori. Il sakè è composto da acqua e riso, con l'aiuto di importanti catalizzatori lievito e spore di koji. Le spore di Koji vengono spolverate su parte del riso per convertire gli amidi di riso in zucchero, che viene consumato dal lievito per creare alcol.
Ogni produzione prevede una quantità accuratamente dosata di riso lavata e messa a bagno in preparazione per la sua cottura a vapore. Mentre le grandi fabbriche di birra normalmente misurerebbero, laverebbero e ammollerebbero il riso per la produzione con vari processi meccanici, in alcun e aziende di sakè utilizzano tradizionali sacchi e vaschette per il lavaggio del riso per ottenere la perfetta consistenza, che viene identificata dalla consistenza del riso imbevuto e l'esperienza del mastro birraio.
Il primo passo per preparare il sakè è eliminare gli strati esterni del riso. Il processo di lucidatura del riso nella produzione di sakè è ottenuta rimuovendo la crusca del chicco e i germi. Gli strati esterni dei chicchi di riso contengono grassi, minerali e proteine che tendono a creare sapori più audaci, pertanto il sapore del sakè è influenzato dalla quantità di strato esterno rimossa. Il riso molto levigato tende a produrre un sakè leggero e dal sapore delicato, d’altro canto riso meno levigato si trasforma in un sakè più corposo.
Dopo che il riso è stato lavato e messo a bagno viene caricato a mano nel koshiki, ovvero una grande nave per riso dove viene cotto per circa un’ora. A differenza del riso per la tavola che viene tipicamente bollito in acqua calda o in una cuoci riso, il riso per sakè viene cotto al vapore, consentendogli di mantenere una consistenza esterna soda e un centro morbido, facilitando così il processo di produzione della bevanda.
Quando il riso viene tolto dalla vaporiera è molto caldo e deve essere raffreddato prima di essere utilizzato nelle fasi successive della produzione. Mentre in un grande birrificio commerciale di sakè viene utilizzato un sistema di trasporto refrigerato per regolare la temperatura del riso appena cotto, alcune aziende utilizzano metodi tradizionali di lancio e impasto del riso per regolare la temperatura, permettendo al mastro birraio di valutare la consistenza del riso e scegli come utilizzarlo al meglio all'interno delle infusioni.
L’elemento essenziale per la fabbricazione di sakè è il koji, ovvero riso che è stato trattato con la muffa aspergillus oryzae. Gli enzimi nel koji aiutano a scomporre l'amido di riso in zucchero e le proteine in amminoacidi. Il koji fornisce anche vitamine per il lievito durante la fermentazione.
Il primo passo per preparare il koji consiste nel cospargere le spore del fungo koji sul riso raffreddato e mescolare accuratamente. Le spore germinano sul riso e diffondono filamenti sulla superficie e all'interno del chicco. Dopo circa due giorni i funghi copriranno il chicco e il koji.
Il processo di produzione del koji avviene in una stanza chiamata koji muro. La temperatura viene mantenuta intorno ai 30°C e un'umidità del 50-80%. Il koji cresce meglio intorno ai 36 ℃ ma diventa inattivo oltre i 45 ℃.
Una volta pronto il koji è il momento di iniziare a mescolarlo in acqua fredda e lievito in un serbatoio aggiungendo poi il riso al vapore. Il riempimento del serbatoio avviene gradualmente, in tre fasi nell'arco di quattro giorni. Ciò consente al lievito di mantenere la sua forza per continuare a consumare zucchero e produrre alcol durante il periodo di fermentazione, che in genere continua per 21 giorni. La temperatura delle vasche di fermentazione è controllata meticolosamente mediante camicie di raffreddamento, in quanto il gusto gradevole del sakè viene esaltato permettendo al lievito di agire ad una bassa temperatura che varia dagli 8 ai 18 gradi a seconda della fase di fermentazione. Il moromi, ovvero l’intruglio ottenuto, viene accuratamente mescolato a mano per garantire una fermentazione costante.
Il tipo di lievito utilizzato incide sul sapore e sull'aroma risultanti del sake. Storicamente, i birrai dovevano fare affidamento sul lievito selvatico disponibile nel proprio birrificio.
Prima della fermentazione principale, i birrai preparavano la coltura madre, o shubo. Ottenuto mescolando riso cotto a vapore, koji, lievito e acqua, una porzione relativamente piccola di poltiglia diventa la sede di una coltivazione attiva del lievito. Questo diventa quindi l’attivatore per il processo di fermentazione nel mosto principale. Molto importante è mantenere lo shubo acido per prevenire la crescita di microbi indesiderati e per fare ciò è necessario coltivare bacilli di acido lattico nello shubo stesso o aggiungere direttamente acido lattico. Con l'aumento dell'acidità e dell'alcol nella coltura madre, molti dei microbi muoiono, lasciando vivere il lievito. Il modo in cui l'acido lattico entra nel mosto influisce anche sul sapore del sake.
Una volta che il moromi raggiunge il completamento, viene drenato in sacchi di stoffa che vengono inseriti nella tradizionale pressa che funziona per gravità e pressione meccanica applicata a mano. La prima spremitura di sakè inizia a fuoriuscire da un beccuccio a un'estremità della pressa dovuto alla pressione naturale dei sacchetti pieni, risultando un sakè di prima spremitura leggero e fruttato noto come arabashiri.
Mentre i grandi produttori di solito aggiungono carbone attivo al sakè pressato e quindi filtrano meccanicamente il lotto, altri si limitano a rastrellare il sakè pressato tramite tubi a sifone, creando un sakè artigianale al 100%.
Il modo in cui i produttori di birra classificano il liquido filtrato dipende da quando è stato estratto durante il processo di filtrazione: l'abarashiri si riferisce al liquido estratto durante la prima spremitura, nakadori a metà e seme all'ultima. Queste porzioni sono solitamente mescolate insieme, ma in alcuni casi imbottigliate separatamente per godere delle diverse caratteristiche.
Un altro metodo di filtrazione è a maglia grossa ovvero permette ad alcuni solidi del mosto di passare attraverso la filtrazione, ottenendo un sakè nigori torbido con diversi gradi di torbidità in base alla tenuta della maglia. La consistenza del nigori è più densa e cremosa con un gusto più dolce.
Il processo di filtrazione produce resti solidi di riso e lievito non disciolti detti sakè lees o sakè kasu. Le fecce di sakè hanno una gradazione alcolica di circa l'8%, è molto nutriente e venduto per essere mangiato, per cucinare oppure messo in salamoia. Il sakè kasu è utilizzato come ingrediente per la produzione di shochu.
Il primo processo di filtrazione porta con sé una quantità di solidi, ma il liquido risultante è ancora torbido. Per eliminare la torbidità e ottenere quindi un sakè “trasparente”, la prima spremitura subisce un processo di sedimentazione, chiamato orisage. Dopo il filtraggio, il liquido rimane a bassa temperatura nel tempo, portando i solidi ad affondare; quindi, i birrai rimuovono il liquido trasparente e lo trasferiscono in un altro serbatoio, processo chiamato oribiki.
Dopo la sedimentazione si può ricorrere ad altri due tipi di filtrazione secondaria: il primo è l'uso del tannino di cachi o della silice colloidale per rimuovere le proteine in eccesso che potrebbero precipitare durante la conservazione e causare torbidità. Il secondo è l'uso del carbone attivo per rimuovere il colore e regolare l'aroma, senza alterare la qualità nel tempo. Il sakè che non subisce questi processi di filtrazione secondaria, detto muroka, tende ad avere sapori più pieni.
La gradazione alcolica del sakè a questo stadio è alta, dal 17% al 20%, tuttavia i birrai aggiungono acqua per regolare la quantità di alcol fino a scendere intorno al 15%. Ci sono ancora dei produttori che vendono sakè non diluito (genshu).
Ulteriore processo dopo la sedimentazione e la filtrazione secondaria è la pastorizzazione. Il sakè viene riscaldato a 60 ℃ a 65 ℃ per sterilizzare e disattivare gli enzimi. Eliminando questo processo il sakè risulta più dolce e con un aroma modificato. Le migliori aziende di distribuzione e stoccaggio hanno permesso ai produttori di vendere il sakè non pastorizzato. Questo sakè, chiamato namazake, ha un sapore fresco e vibrante che lo rende sempre più popolare negli ultimi anni.
La pastorizzazione spesso altera l'aroma del sakè e conferisce un gusto non raffinato. Il sakè pastorizzato di solito invecchia fino a un anno per stabilizzare i sapori, infatti i birrai producono il sakè durante l'inverno, lo lasciano invecchiare per tutta l’estate e lo rendono disponibile sul mercato l’autunno successivo.
Una volta subiti tutti i processi sopradescritti, il sakè può essere imbottigliato immediatamente o temporaneamente conservato in vasca a una temperatura di 0 gradi. L’utilizzo delle bottiglie di colore marrone scuro viene utilizzato per il sakè dai raggi ultravioletti che ne danneggiano il sapore e l'aspetto.